Francini: un cantattore e il lavoro che non c'è

Basta ascoltare poche battute del nuovo cd di Marco Francini intitolato con schiettezza programmatica "La ballata del lavoro che non c'è", per rendersi conto che la nuova fatica del cantattore napoletano è qualcosa in più di un semplice disco. Perchè anche quest'ultimo lavoro è coerente col suo ormai trenetennale percorso di eclettico ma sempre impegnato nomade della scena, sia essa musicale, sia essa più schiettamente teatrale. Ed infatti l'articolato percorso che Francini propone attraverso i suoi quindici brani sono specchio fedele delle sue mille curiosità, delle sue variegate passioni, della sua sempre lucida capacità di essere performer a tutto tondo. Come dimostra subito la canzone che apre il cd e che dà il itolo all'intera opera.
Francini ci cala subito in una dimensione cabarettistica, di quelle con la Kappa alla tedesca, che fra un lazzo el'altro, fra un'intro recitata e una virata in tempo binario, ci racconta delle realtà più dure del nostro vivere sociale. Fil rouge che ritorna anche nel secondo brano, un "Blues del disoccupato" che fa da pendant alla "Redemption song" di Bob Marley, un altro omaggio alla sponda americana dell'oceano. Anche se - eccettuato l'altro doveroso omaggio a Brecht, con "La canzone del fumo" -, il centro del disco resta Napoli, quella narrata come un cantastorie in "Carlo e Maria" ovvero Gesualdo e D'Avalos, protagonisti del delitto passionale più celebre della storia della nobiltà partenopea. Che vive anche di intime realtà descritte in punta di penna, come in "Vulesse", il testo di Myriam Lattanzio dedicato a una bambina, o in ulteriori aperture alla cronacacome in "Rosa" una canzone che racconta un'immigrata finita sulle strade a prostituirsi. LEGGI IN FORMATO .PDF