La presentazione di Echos 2 al Museo Ascione tra arpe e conchiglie
da: Il Mondo di Suk
La presentazione al Museo Ascione/Echos 2 tra arpe e conchiglie: ecco il nuovo album di Marco Francini dedicato alla Terra Flegrea.
“So che i soli paradisi non vietati all’uomo sono i paradisi perduti (J. Louis Borges)”.
… e tutto ritorna e riecheggia tra le antiche pietre e le acque lustrali della memoria del tempo. E se flauti trombe violoncelli contrabassi arpe ci riportano le musiche che quei luoghi hanno scritto per angeli pagani e custodi di un sonno senza risveglio, le conchiglie conservano le parole di viaggiatori e di re, di poeti e di regine e l’onda eterna del mare. E al fiato che vi si insinua, delicato e suadente, parlano del mondo dal quale il nostro è nato e che va perdendosi nella deriva della memoria e del suo stesso desiderio. Stiamo parlando dell’ultimo lavoro di Marco Francini, musicista a tutto tondo che unisce alla esuberante creatività artistica l’impegno di penetrare, da conoscitore, gli aspetti più significativi della nostra cultura per riproporne l’inesausta vitalità.
Echos 2 è il secondo dei dischi dedicati alla Terra Flegrea, splendido atto finale di millenni di violenze geologiche e sede del primo stanziamento dei coloni greci in Occidente. E’ una terra senza pari e senza pace sulla quale tuttora errano le parole di un Poeta che l’ha consegnata all’immortalità e il vapore lunare di un sottosuolo in continuo subbuglio.
Mito e leggenda, divenuti storia, rendono questa terra a Occidente di Napoli diversa dalle altre, anch’esse uniche nel mondo, della zona orientale della regione. Il confronto con Pompei scatta immediato e le vicende sembrano accomunarne i destini e la successiva notorietà, ma non è esattamente così. Perché su questa piccola terra impegnata per millenni nella sua fatica automodellatrice, oggi cinta dolcemente dalle colline digradanti verso il mare, è passata la Storia, quella che fa da sfondo alle storie degli uomini e dei popoli, dei paesi, delle città e delle loro sorti.
Da un Lago e da una Grotta dove si delinea il legame tra la ritualità flegrea e la cultura religiosa greca e medio-orientale, meta di viaggiatori che ne interpretarono le linee-guida per i loro viaggi iniziatici, si diffonderà nell’Occidente la civiltà ellenica e partirà la predestinazione dell’Impero.
Tutto ciò e molto altro è nel secondo disco del lavoro di ricerca, di recupero e di diffusione del geniale progetto di Marco Francini, Echos 2, preceduto qualche anno fa da Echos 1. Due incisioni, due momenti diversi, la materia concettuale e il percorso progettuale procedono coerentemente lungo lo stesso fil rouge che non accenna ad allentarsi e sembra offrire sempre nuovi agganci a un artista dalla vivida curiosità e dalla estrosa duttilità interpretativa come Marco Francini.
Con i suoi lavori, Marco sembra rispondere in maniera del tutto personale alle ininterrotte sollecitazioni dell’unico mondo che ha saputo resistere e durare nel confuso dissolversi dei tempi e delle storie degli uomini. Il disco-grillo parlante di Francini si propone di dire, nel modo più agile e più immediato, che queste cose che giacciono sotto il mare e sotto laghi e grotte in disarmo, quelle statue ripescate e riproposte dopo millenni ancora roride della loro maestosità vanno lette non solo per apprenderne l’armonia di un’arte insuperata dove s’identificano i canoni di quel kalòs kai agathòs che fu il binomio inscindibile della civiltà greca, ma anche la richiesta di aiuto, l’urgenza del salvataggio e della consegna di esse e del loro magistero alle generazioni future, ignare di esserne eredi.
Eccoci nella Piscina Mirabilis, ‘mirata’ solo da chi si dedica alla paziente ricerca di una facente funzione di guardiana, ma non certo di guida. Ecco quello che fu il grande serbatoio d’acqua della flotta pretoria, espressione della civiltà romana come quella delle Mille e una colonna di Costantinopoli, il cui ingresso va prenotato con mesi d’anticipo.
Da noi, intorno alla mirabile e quasi sconosciuta addormentata da cento e cento anni e non per un incantesimo, ma per precisa volontà di quanti dovrebbero averne a cuore e in cura la gestione e la conservazione, tutto è pace e silenzio, niente code, niente visitatori, che bello. Ma quanto in essa ha vissuto vividamente per secoli, oggi ci parla attraverso voci e suoni, e la musica echeggia docile negli strumenti da queste mura scrostate, dai rami penduli dell’erba tremula fiorita dalle sconnessure dei pozzetti della volta lungo la quale il sole fa lo scivolo per specchiarsi e cogliere ancora, da qualche pozza d’acqua, lame di luce.
In Echos 2 apprendiamo che la Piscina ‘risuona’. Risuona del suo significato liturgico connesso a tutta la simbologia naturistica e pagana dell’acqua, dell’opus reticulatum ancora leggibile nella sua innocenza d’alveare, dalle volte, da quanto resta del pavimento a mosaico, dalle epigrafi e dall’ aria altera che pur nel suo rovinoso abbandono conserva intatta, sontuosa cattedrale di un dio che l’ha rinnegata, ma senza infrangerne l’ethos che non vuole morire.
E arpe e conchiglie, flauti e trombe, voci e sussurri si rimandan l’un l’altra la loro eco, e ci giungono al cuore. Il grande merito della geniale e ardua opera di Francini sta proprio nell’aver creato, con i suoi due ‘echeggiamenti’, l’allarme necessario a che tutto ciò continui a parlare a quanti vi passano e vi sostano, come hanno parlato a lui e ai suoi compagni di cordata. Perché creare un’opera come i due Echos significa aver compreso di questa terra cose che a volte sfuggono anche a chi si è assunto il compito di custodirla e di diffonderne, con notevoli vantaggi anche per i bilanci pubblici, la storia e gl’infiniti significati. Questi suoni, queste voci, questi echi che sembrano giocare a rilanci tra loro come tra le pareti ovattate d’erba di un biliardo campagnolo ci parlano della civiltà greca, che qui introdusse “la morbidezza e lo splendore dei costumi” e di quella romana, che v’introdusse “il serioso poema del diritto” (Vico, Scienza nuova XLVI).
Musica e parole di Echos sembrano aver colto la sacralità di una terra “rubata al piacere degli dei” e in esse sembrano vibrare le conversazioni di Virgilio e Orazio che stanno componendo lungo questi lidi le Odi, le Bucoliche e l’Eneide, ma i toni sommessi, i suoni scuri sembrano echeggiare dell’infinito dolore delle cose consegnate all’oblio ma che ancora vincono la partita – della bellezza, dell’incanto, della magia – con lo splendore del paesaggio che trionfa alla superficie.
La Magia: e solo qui, nella velata umidità che sa d’erba e di mare, si possono ripetere le parole sacre agli dei, a Gea, “madre dei celesti e dei mortali che tutto dona, e distrugge e porta frutti e fiori”: a tutta quella “materia infinita” che accese non solo gli “eroici furori” di uno scienziato filosofo, ma anche il suo rogo sacrificale.
Terreno per pochi rabdomanti della materia iniziatica della vita, lo spazio dal quale il nostro Echos ci parla appartiene a tutti quanti si portano nel cuore l’incapacità di dimenticare il passato e di lanciarsi a occhi chiusi e a mani vuote nel futuro, i piccoli Orfei che si guardano indietro a rischio di perderlo quel futuro, e che molti di noi inconsciamente si portano dentro.
Tra i tanti aspetti avvincenti del lavoro di Francini e del suo gruppo è anche la fiducia che tutta l’operazione sembra riporre nel rinnovare la memoria di un passato a molti sconosciuto, da molti dimenticato ma al quale questa terra attinge continuamente la linfa per rivivere. Distrutta e ripopolata infinite volte, la terra flegrea sembra rinnovare attraverso Echos la sua offerta d’eternità e la sua ostinata voglia di vivere.
La sua gente ha continuato a lavorare tra le case murate, nelle tende sul lungomare, nei dintorni e sulle colline, i suoi pescatori non l’hanno mai lasciata e la mensa di Trimalcione non è mai rimasta sguarnita delle sue specialità che questo mare esalta da millenni. Anche nei momenti più gravi dei movimenti tellurici, le sue botteghe non hanno mai chiuso, neanche quando la incantevole ex Dicearchia, la ex splendida Baia, la ex misteriosa Bauli sembravano essere in ginocchio per sempre.
L’affiatatissimo gruppo di Echos 2 ha saputo cogliere e trasmettere in pieno questa vitalità e i suoi messaggi che sono anche richiesta d’aiuto, anche richiesta di vivere. Ognuno dei partecipanti meriterebbe un commento a parte, ma qui ci limitiamo a unire Cristina Donadio, Marco Di Paolo, Paolo Licastro, Lorenzo Niego, Rita Partini, Enzo Pinelli, Edo Puccini, Gianni Sorvillo, Riccardo Veno in un corale elogio per serietà, competenza e bravura. Un grazie e un bravo all’ideatore e interprete Marco Francini al quale ci sentiamo di dire, ancora una volta con il nostro amato Borges: “Ho un po’ di vertigine. Non sono abituato all’eternità”.