Marco Francini. Echos volume 2 e il racconto dell’anima dei luoghi

da CulturaMente


Forse se ne sentiva il bisogno, forse questa sarà solo l’opinione di chi scrive, ma se ne sentiva il bisogno di un disco che non fosse solo una sequenza di copia e incolla con Intro, Verse e Chorus messi lì perché sì.

Questo è assolutamente quello che ha fatto Marco Francini.
Con il suo nuovo album ‘Echos 2’ Marco Francini decide di raccontare delle storie ma non come un novello bardo o cantastorie di sorta, lui cerca invece di richiamare alla memoria l’anima di posti di importanza storica tramite gli echi appunto del loro passato.
La Piscina Mirabilis e altri posti meravigliosi – e romantici con il loro aspetto decaduto sotto i colpi del tempo – nell’area dei Campi Flegrei diventano la sala di registrazione perfetta in cui vengono catturati anche gli echi naturali del posto, gestiti perfettamente dalla band di Marco Francini.

Le traacce del disco sono 8 e raccontano tutte la stessa storia e storie diverse allo stesso tempo, tra i vari brani c’è un filo logico – quello naturale o naturalistico a voler essere precisi e quello ‘religioso’ per così dire – nei brani di Marco Francini non si sente una voce cantante ma una voce narrante che ora riprende questa ora quella suggestione del passato dei luoghi in questione.
Nel corso del disco si possono udire inni a divinità come Eros, il dio greco dell’amore, o brani tratti dalle opere latine di Giordano Bruno, filosofo strettamente legato alla natura con le sue idee sulla identità tra dio e natura.

“Sempre alla ricerca dell’oggetto amato, senza mai riuscire a raggiungerlo” diceva il grande filosofo Platone a proposito di Eros, un dio figlio della Povertà (non riusciva mai ad ottenere l’oggetto del suo amore) e dell’Espediente, che creava di continuo nella sua ricerca, questa è la suggestione che lasciano i brani di Marco Francini, una serie di immagini riportate alla mente dell’ascoltatore ma senza che questi riesca mai a carpirle del tutto e in maniera limpida.

Oltre alle immagini che vengono alla mente sempre sfocate ci sono altre suggestioni notevoli nel disco di Marco Francini, un esempio è l’uso già citato che si fa dei luoghi, lo sfruttamento di ogni conformazione di questi ultimi per ottenerne il miglior responso sonoro possibile.

A seguire abbiamo l’utilizzo di strumenti che richiamano i luoghi narrati da Marco Francini stesso, conchiglie e percussioni su tutti.

Il risultato è per usare le parole dello stesso Marco Francini, una musica che attinge alle tecniche degli impressionisti francesi, in sostanza: Marco Francini va a fondo nei luoghi che racconta ma lascia all’ascoltatore l’impressione, un’immagine sfocata ma comprensiva di tutto.

Come già detto in apertura di questo articolo, nel suo disco Marco Francini non si attiene agli schemi tipici della canzone pop(ular) o di altri generi musicali più o meno ‘aulici’, come regole formali restano l’interplay e conseguenti armonie, melodie e ritmi che nascono senza contenitori formali prestabiliti tra i vari partecipanti al disco, che – e lo ricordiamo – è il frutto di una totale improvvisazione dei partecipanti, basata su canovacci di riferimento ideati da Marco Francini.

L’invito ad ascoltare il disco mi sembra d’obbligo, ma voglio aggiungere un motivo, che il lettore potrà condividere o meno, cioè che l’effetto del disco in sé, ascoltato anche nelle semplici cuffie dello smartphone, è notevole, espressivo ed assicurato, insomma: Marco Francini merita un ascolto, da fare con profondità e rispetto del lavoro certosino fatto dietro le quinte del disco.
Antonio Di Meglio
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